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Home I concerti Dettagli - The Somnambulist + Bob Corn

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I Concerti

Evento 

Titolo:
The Somnambulist + Bob Corn
Quando:
22.02.2013 22.30 h
Dove:
Il pasteggio a Livello - San Felice sul Panaro
Categoria:
indie

Descrizione

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The somnambulist – sophia verloren (Solaris Empire/Acid cobra records, 2012)

Di:
Pubblicato il 17 gennaio, 2013
In newREC[s], News, RECensioni, RecNews, Rock, Roots

Nella mia immaginazione, il sonnambulo si sveglia nel cuore di una notte temporalesca, indossa le pantofole posate a bordo del letto, si alza stendendo le braccia dritte davanti a sé e comincia a girovagare lungo le stanze e i corridoi di un gelido cottage, mentre il soffio del vento sbatte sulle mura di pietra. Se questa è anche la vostra idea del fenomeno, di certo non sarete smentiti dall’ultimo disco di The Somnambulist. La band italo-tedesca infatti, guidata dal leader Marco Bianciardi, tiene fede al suo nome e con l’album Sophia Verloren cammina lungo sentieri musicali impervi, come caduta in uno stato di totale incoscienza. I territori musicali esplorati durante il viaggio spaziano da delicati momenti di progressive rock all’alternative più radicale, passando per momenti di rock più orecchiabile e jazz melodico. Sonorità tenebrose (l’inizio dell’album per esempio) si alternano a passaggi profondi e intensi (..And the snow still falls), note luminose e inquietanti campionamenti di suoni.
Il brano d’esordio, My own paranormal activity, e il successivo Logsailor forniscono un’ottima prova dell’abilità compositiva e della creatività della band. La complessa intelaiatura musicale è degna di un album di prog-rock e richiede numerosi ascolti prima di poterne apprezzare la buona qualità. Il contrasto luce-oscurità domina l’ album: un inizio minaccioso spesso lascia spazio a un rock più arioso (Logsailor) o ad armonie più delicate (..And the snow still falls). Il livello  qualitativo  tuttavia scende man mano che si susseguono i brani. Deludono la title track Sophia Verloren e Dried fireflies dust, mentre la presenza alla voce di Albertine Sarges dona brillantezza a A Daysy Field e al cupo jazz Sunday morning carnage. Il suono ruvido della chitarra di Bianciardi pervade ogni traccia, ma il protagonista dell’album è il violino di Raphael Bord. La sua presenza si inserisce alla perfezione nell’atmosfera e dona dinamismo all’intero lavoro.
L’album, registrato in parte in Italia e in parte in Germania, risente della tradizione musicale di entrambi i Paesi: l’Italia lascia in eredità le sue ballate e le sue melodie (..And the snow still falls e Sunday Morning Carnage, mentre la Germania condiziona il clima, freddo e rigido, di alcuni brani( Logsailor e Dried fireflies dust su tutte). Sophia Verloren nel complesso risulta un album ben riuscito, ma lascia la convinzione che il meglio per questa band debba ancora venire.

Bob Corn:

Arrivati a questo punto, la domanda è: che cosa si può dire che non sia già stato detto? Il soggetto in questione è Bob Corn (Tiziano Sgarbi), il disco il nuovo “Songs To The Wind”, canzoni al vento.  Due i punti di vista. Primo: il nostro, che il disco l’abbiamo sotto mano come ascoltatori. Secondo: quello di Tiziano, che il disco, ovviamente, l’ha scritto.

“Songs to the wind” è un mini album di sette pezzi, folk come i suoi fratelli maggiori, affascinante come i suoi fratelli maggiori, inquadrato nel genere senza mai uscire dai margini esattamente come i suoi fratelli maggiori. Bob Corn questo modo di scrivere l’ha definito sad punk. Vero: la definizione reggeva all’inizio, e regge tutt’oggi. Il suo modo di scrivere è punk per spirito, per costruzione, per immediatezza, e sad perché… beh, innegabilmente triste.

Bene quindi “Here I go”, calda introduzione per voce e chitarra, accompagnati delicatamente da banjo e archi. Idem “Language and lungagge”: questa volta è una tromba beirutiana a controbilanciare la linea chitarra/voce. Più pacata invece “Lost in the mirror”, pezzo più tagliente dei due precedenti perché graffiato sullo sfondo da una chitarra elettrica dal sapore desertico, smussata perentoriamente dal suono ovattato di un clarinetto.

“This moment we borrow” è forse il pezzo migliore del disco. Una nenia dolce, arpeggiata sul più classico dei “la la la” che altro non è che il più puro e potente concentrato di nostalgia, se usato nella giusta maniera. E Bob Corn è uno che queste cose le sa maneggiare, cose come la nostalgia intendo. Che sad punk sarebbe altrimenti? Mettiamoci poi una fisarmonica e la magia non può che compiersi. E’ quasi matematico. “Play for me” è il pezzo più Cat Stevens + Moldy Peaches + noise della tornata. Un esperimento, una ballata stridula e stridente. Perché con qualcosa devi spezzare la melodia, non può esserci l’agro senza il dolce.

“Tell me how” spegne però quasi immediatamente la carica elettrica. Ecco di nuovo solo banjo, batteria, chitarra (acustica e elettrica) e voce; il Bob Corn cristallino e lancinante che abbiamo imparato a conoscere negli anni: “Tell me how… how can I have you / how can I have you / how can I have you”. “Flower on a rock” chiude infine il discorso esattamente come uno si immagina possa finire. Cosa che ci riporta alla domanda posta in testa.

Abbiamo detto che di Bob Corn non si può dire nulla che non sia stato già detto. Vedi la recensione di “The Watermelon Dream”: “Bob Corn è tutto questo, già sai, e spendere altre parole sembra inutile”. Quello che “Songs to the wind” ci può però far chiedere, è se tutto questo ha ancora un senso.

Bob Corn ha senso per noi che lo ascoltiamo? Sì, nel momento in cui ogni pezzo, senza stupire, riesce a trasmettere qualcosa. Tiziano sa scrivere melodie, e soprattutto sa come interpretarle. Tanto basta. Ha senso per lui continuare a scrivere e riscrivere lo stesso album? Sì, perché Bob Corn non è sperimentazione, non è innovazione. Bob Corn è uno stato d’animo. Bob Corn è sad punk. E il linguaggio del sad punk è quello di una chitarra, una voce, e un pugno di arrangiamenti. Tutto qui. C’è qualcosa di Bob Corn che non è ancora stato detto e che si potrebbe dire? No. Machissenefrega.

 

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